Attività, Sol Indiges



Arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro: Agostino Iacurci e ivan

Sol Indiges

Arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro: Agostino Iacurci e ivan

progetto del Comune di Pomezia in collaborazione con la Fondazione Pastificio Cerere,

a cura di Marcello Smarrelli

SCHEDA OPERA L'antiporta di Agostino Iacurci, 1.000 mq circa, 2021

Biblioteca Comunale Ugo Tognazzi, Largo Catone

“E già della casa le cento enormi porte s’aprono da sé, sull’aria recando i responsi della veggente…” Virgilio, Eneide, Libro VI

L’antiporta è il titolo del grande murale che l’artista ha progettato seguendo le linee dettate dall’architettura della biblioteca comunale, proponendone un’inedita lettura e un nuovo ruolo nel percorso narrativo della città.

L’antiporta è l’elemento architettonico che immette nell’andito di accesso ad una seconda porta, mentre nel gergo tipografico indica la pagina precedente il frontespizio, soprattutto nei libri antichi, che spesso ospita un ritratto o un’illustrazione allegorica.

La fonte iconografica a cui si è ispirato Agostino Iacurci è il libro VI dell’Eneide, in cui si narra l’incontro con la Sibilla Cumana, la veggente che predice ad Enea lo sbarco sul litorale laziale.

Il suo antro viene descritto da Virgilio come una caverna con cento porte che si spalancano automaticamente all’unisono nel momento del responso. Le soglie che conducono nell’oltretomba, la misteriosa porta in tufo dell’Heroon di Enea conservata al Museo Archeologico Lavinium, le porte varcate da Virgilio e Dante nella Divina Commedia, sono altrettanti riferimenti derivanti dal confronto con i “classici” che hanno guidato l’artista nella realizzazione del grande portale d’accesso alla biblioteca e che amplificano la funzione simbolica dell’edificio, eleggendolo a tempio del sapere, oracolo laico della città, luogo privilegiato in cui ottenere risposte alle proprie domande.

Oltre al riferimento alle cento porte, domina la composizione una coppia di figure femminili in scala monumentale (la Sibilla Cumana, Pomona, Minerva Tritonia sono i rimandi più immediati), la cui iconografia è evidentemente ripresa dalla straordinaria scultura di fanciulla in terracotta risalente alla prima metà del IV sec. a.C., rinvenuta nell’area del “Santuario orientale”, sempre conservata al Museo Archeologico.

Percorrendo il perimetro esterno della biblioteca una teoria di navi ricordano lo sbarco di Enea, esule da Troia, alla foce del Numico. La polena a forma di cavallo di alcune di esse allude alla recentissima teoria secondo la quale il Cavallo di Troia era in realtà una nave fenicia molto diffusa a quei tempi, chiamata Hippos.

La grande curva della biblioteca presenta una serie di arcate che scandiscono ritmicamente la superficie, modificando illusionisticamente la percezione dell’edificio, configurandosi come un’architettura dipinta.

All’interno degli archi compare un altro elemento iconografico ripreso dall’Eneide, il ramo d’oro, che permette la catabasi (discesa) di Enea nell’Ade, usato prima per placare Caronte, poi come dono per Proserpina e infine collocato sulla porta della città di Dite, all’ingresso dei Campi Elisi.

Al ramo d’oro si alternano busti di fanciulle poggiati su slanciate colonne, sempre precisi riferimenti allo straordinario patrimonio archeologico visibile nel Museo Archeologico. Un caleidoscopio di colori e di forme che cambiano il volto della piazza e offrono allo spettatore molteplici chiavi di lettura in cui reale e immaginario si fondono, creando un cortocircuito temporale tra la pittura murale di epoca romana, evidente nella scelta dei codici espressivi e la pratica del muralismo contemporaneo.