Attività, I bronzi di Riace, cinquant'anni fa



Qualche riflessione in occasione dei cinquantanni dal loro rinvenimento di Michele Santulli

Sono due sculture in bronzo alte circa due metri, risalenti all’età di Pericle, in Atene, tra 460 e 430 a.C. il periodo d’oro della Grecia e della civiltà occidentale; entrambi i bronzi realizzati in questo periodo, a distanza, dicono gli esperti, di una trentina d’anni l’uno dall’altro, da due artisti differenti. Sono esposti nel Museo archeologico di Reggio Calabria.

Grecia antica è la eredità del mondo occidentale, il volano da cui tutto è partito. Fino ad oggi, ovunque.

L’arte scultorea e pittorica in Grecia, componente fondamentale della società, aveva come riferimento non l’individuo o il collezionista bensì la città, cioè l’arte assolveva ad una pubblica e, possiamo impiegare il termine pertinente allora inventato, democratica istanza, quindi opere intese per la comunità dei cittadini, a loro gradimento ed acculturazione. Il tempo, le guerre, le distruzioni, la disgrazia vuole che di una ricchezza straordinaria è rimasto poco oppure in generale solo ruderi. Di pittura dell’epoca quasi nulla, di opere scultoree in prevalenza solo i bassorilievi delle metope cioè le decorazioni sugli architravi dei templi, famosi quelli del Partenone, oppure opere scultoree in massima parte di valore sacrale. Nella Grecia antica la cura del corpo, soprattutto maschile, era una impegnativa attività e dovere di ogni cittadino; il corpo espressione e simbolo di bellezza e di perfezione che avvicinava l’essere umano agli dei e perciò numerose le iniziative di ogni genere di carattere ginnico ed agonistico. La manifestazione artistica che più di tutte assolveva a tale principio celebrativo, la scultura, è totalmente scomparsa, in massima parte distrutta nel corso del tempo, in particolare quella in bronzo: conosciamo e ammiriamo nei musei le opere realizzate dai grandi artisti greci solo perché ne conosciamo le repliche e le riproduzioni eseguite dagli artisti romani nel corso dei secoli: cioè sono scomparsi gli originali, salvo rarissime eccezioni, e rimaste le copie in marmo perché enormemente richieste dai nobili romani per le loro abitazioni e ville sparse nell’impero e continuamente replicate. Delle opere in bronzo, arte in cui gli artisti greci erano maestri insuperabili, escludendo le statuette che avevano di solito una funzione di ex voto o di offerta religiosa o le poche rare opere maggiori di povero significato artistico, in effetti di opere in bronzo che consentano di ammirare il corpo umano e allo tesso tempo l’alta qualità artistica greca sono, incredibile, stando alle parole del grande archeologo Bianchi Bandinelli, in totale tre conservate! L’Auriga nel Museo di Delfi, il Giove che lancia fulmini nel Museo di Atene, la testa di Apollo al British Museum in Inghilterra: il grande studioso allorché si scoprirono e si iniziarono a restaurare i due bronzi di Riace, di gran lunga al di sopra dei tre, non era più di questo mondo.

La perfezione assoluta dei corpi e dei lineamenti, dei volti e delle capigliature, le gambe, il torace, i glutei, la linea della schiena, perfino la esemplarità del cosiddetto ‘piede greco’: i due bronzi, sono l’apice e la vetta della bellezza e dell’armonia: oltre ai bronzi di Riace non vi è nulla di nemmeno lontanamente atto a richiamare e a documentare la essenza dell’arte e della bellezza nei principi costitutivi: gran parte di quanto visibile nei musei e gallerie o sono copie e repliche, come detto, da originali scomparsi oppure, se dell’epoca, non presentano i requisiti di affidabilità con riferimento alla qualità e/o all’età. La visione delle due sculture rappresenta dunque un autentico lavacro dell’anima per tutti, principalmente la percezione, quasi la scena e spettacolo, di che cosa sia la bellezza e la perfezione: più che lo specchio, i bronzi di Riace ne sono il paradigma e la quintessenza.

Vista la gran parte delle espressioni oggi, ovunque nel pianeta, offerte al pubblico, molte chiaramente scioccanti e perfino destabilizzanti, la presenza clamorosa e miracolosa dei bronzi di Riace sarebbe sufficiente per richiamare all’ordine e al medesimo tempo offrire opportunità differenti. Purtroppo non pare che il significato rivoluzionario dei due bronzi sia pienamente compreso o dovutamente fatto conoscere: in effetti nulla o quasi, si sente e vede al fine di facilitarne al meglio e ai più, la vicinanza e la visione. Dovranno dunque cambiare i tempi.

Pare perfino che l’UNESCO fino ad oggi ne ignori la presenza!! Si direbbe quasi che interessi di diversa natura ne ottengano e sollecitino la emarginazione o la scarsa visibilità possibile.

Michele Santulli