Mostre, Quartieri dell'Arte 2020. "Vago Fiore"



Installazione grafica e sonora per la Festa di Santa Rosa

Quest’anno, per le esigenze imposte dall’emergenza covid, a Viterbo non si terranno, come è tradizione antica, le manifestazioni legate alla Festa di Santa Rosa, tra cui la processione e il trasporto della celebre “Macchina di Santa Rosa”, evento unico al mondo riconosciuto dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. Il Festival Quartieri dell’Arte ha voluto trasformare il primo dei progetti teatrali presentati in questa XXIV edizione in un omaggio ai viterbesi e alla festività a loro più cara. Centrale nel programma 2020 sarà infatti la commissione al pittore Francesco De Grandi - esponente di spicco della scuola palermitana contemporanea - di 9 disegni che facciano fare al pubblico un’esperienza connessa al passato remoto della Macchina e della Festa di Santa Rosa. A De Grandi è stato chiesto di riprodurre attraverso l’intensa drammaticità della sua pittura e del suo tratto, alcuni momenti del Trasporto della Macchina del 1690 (il primo di cui si abbia una rappresentazione grafica). L’artista palermitano - che vanta un curriculum internazionale consolidato, con alcune esposizioni alla Biennale dell’Arte di Venezia – ha immaginato una sorta di corteo grafico ideale che riassumesse in sé gli elementi distintivi della Festa di Santa Rosa.

“Francesco De Grandi è palermitano” – dichiara il drammaturgo Gian Maria Cervo, direttore artistico di Quartieri dell’Arte – “e Palermo e Viterbo sono legate da due Feste sacre di grande spettacolarità, in cui cultura popolare e fede si fondono: Santa Rosalia e Santa Rosa. Per questo vorremmo che l’apertura della mostra a Viterbo, il cui titolo “Vago fiore” cita un inno elevato alla Santa e alla sua Macchina, possa essere anche occasione simbolica di incontro tra due comunità. De Grandi colloca le sue opera all’interno di un’installazione che rappresenta la versione postmoderna di una biblioteca rinascimentale o barocca. E per questo spazio ho creato un tappeto vocale-sonoro per cui hanno prestato la loro voce star del cinema e del teatro italiano che hanno calcato i palcoscenici del festival nel corso degli anni. E’ questa un’ulteriore contestualizzazione dell’ opera che riproduce voci da fiera e espressioni di incitamento usate nel Seicento desunte in gran parte da un ciclo di commedie di Michelangelo Buonarroti jr. andate in scena prima di questa riproposta in forma di riscrittura, solo a Firenze, agli Uffizi, nel 1617.”

La mostra andrà a costituire un ambiente all’interno del quale ci saranno interventi performativi di teatro e danza, costituirà dunque una esperienza sensoriale a 360 gradi. Alla mostra, con curatela di Marcello Carriero, cui aderiscono anche il Monastero di Santa Rosa e il Centro Studi intitolato alla Santa, con l’apporto della studiosa Eleonora Rava e a cui ha dato il patrocinio il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, è abbinato anche un catalogo esclusivo, realizzato in 400 esemplari con interventi originali di Francesco De Grandi. Una parte consistente del ricavato degli ingressi alla mostra sarà donato al Monastero di Santa Rosa e al Sodalizio dei Facchini per la realizzazione di iniziative benefiche. I cataloghi numerati potranno essere acquisiti, oltre che attraverso il semplice acquisto, per eventuali aziende che volessero contribuire, anche attraverso il meccanismo dell’Art Bonus che dà diritto di recuperare il 65% delle donazioni effettuate in favore del Festival come credito di imposta.

QUARTIERI DELL’ARTE 2020 AL VIA CON “VAGO FIORE” IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANTA ROSA

La ‘ri-immaginazione’ di una processione cinquecentesca e del trasporto della Macchina di Santa Rosa del 1690. Pannelli grafici di Francesco De Grandi su tappeto vocale-sonoro di Gian Maria Cervo.

Progetto realizzato da QdA - Mibact, Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo - Regione Lazio- Comune di Viterbo- Monastero di Santa Rosa- Centro Studi Santa Rosa- Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa.

2 settembre / 15 ottobre 2020 - Ex Chiesa degli Almadiani

A PROPOSITO DEL TAPPETO SONORO

Il mio primo ricordo di spettatore della Macchina di Santa Rosa risale a quando avevo 7 o 8 anni. Nella suspense dell’attesa del campanile mobile mi ero imbattuto in un altro bambino, più o meno della mia stessa età, e avevamo parlato di ufo e della possibilità che esistessero gli extraterrestri. Non mi ricordo il suo nome e non mi ricordo come fosse fatto ma mi farebbe piacere rincontrarlo quel bambino. Chissà forse molti anni dopo ci siamo anche conosciuti e oggi è tra i miei amici e non lo so.

Tra i ricordi più vividi legati al trasporto della Macchina ce n’è anche uno che risale a una decina di anni fa: l’ora di pranzo di un 3 settembre; un gruppo di ragazzi improvvisa con dei cartoni, i resti di qualche scatolone, una specie di parodia del trasporto, uno di loro in cima in un equilibrio molto precario, tutti intonando l’inno che la banda immancabilmente suona davanti all’oggetto trasportato. Per uno poco avvezzo alle cose viterbesi potrebbe sembrare una blasfemia. I viterbesi invece potrebbero giurare sull’attaccamento di quei ragazzi alla festa e alla figura della Santa, comunque lo si voglia intendere.

Altre cose che ricordo con piacere: le trombette a forma di pulcinella degli anni Settanta, i palloncini rossi a forma di coniglio, ogni tanto se ne vedeva volare qualcuno sfuggito al controllo del possessore, i croccanti alle nocciole e il loro odore. Un cumulo di oggetti ai piedi di un appuntamento che, per chi vive a Viterbo, è impossibile trascendere, cumulo che in questo senso somiglia un po’ a quello che si vede nell’ “Amor vincit omnia” caravaggesco; e appuntamento difficile da narrare se non in un clash delle prospettive di tutti i suoi spettatori, fusione di mistero, populismo, religiosità e paganesimo.

L’idea per l’installazione “Vago fiore” parte da qui. E da un invito ai visitatori dell’evento a immaginare -ri-immaginare- un trasporto della Macchina di Santa Rosa alle sue origini, nel Seicento. “Vago fiore” non può per ovvi motivi essere una ricostruzione filologica di un trasporto del 1690 (sebbene esista un bozzetto della Macchina di quell’anno). Per creare il tappeto sonoro-vocale che accompagna l’apparato visivo di Francesco De Grandi ho rievocato le memorie più forti legate all’evento del 3 e alla fiera del 4 settembre e le ho sovrapposte alla raccolta di 5 testi teatrali “La fiera” di Michelangelo Buonarroti jr. (le commedie andarono in scena nel 1617 agli Uffizi a Firenze e sono lieto che “Vago fiore” sia un modo per riproporle “in scena” dopo qualche secolo) creando una narrazione. Quello che ho – dovrei forse dire con Francesco e con Marcello Carriero, abbiamo- creato è un fake che sfida il visitatore a immaginare un trasporto della Macchina in epoca barocca.

Quello che c’è di vero è un trasporto della mente, l’unico possibile in epoca di COVID, che parte dall’osservazione delle suggestioni visive e dall’assorbimento di quelle uditive e termina ad occhi chiusi.

Gian Maria Cervo

BIOGRAFIE

Francesco De Grandi (Palermo 1968). Dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti della sua città, nel 1994 si trasferisce a Milano, dove resta fino al 2008. Dal 2009 al 2012 lavora a Shanghai ma poi decide di tornare a Palermo, dove trova un luogo più adatto per continuare la sua ricerca. Tra le mostre personali recenti: Aurea Hora, Fondazione Sicilia Pinacoteca di Villa Zito, Palermo; COME CREATURA, RizzutoGallery, Manifesta 12 Collateral Event, Palermo, 2018; Fragmente des Unbekennten, Gartenpavillon Malkasten, Dusseldorf, 2016; Archetipi della pittura inquieta, Convento del Carmine, Marsala, 2014. Tra le collettive recenti: Foresta Urbana, Museo Riso Palermo, 2019; La Scuola di Palermo, Museo Riso, Palermo, 2018; Walking on the Planet, Casa Masaccio, Casa Giovanni Mannozzi, Palazzo Panciatichi, San Giovanni Valdarno, 2018. Le sue opere sono state viste recentemente nella mostra “Shanghai e Venezia Present: City Centre, Diankou, Lima, Palermo” in occasione della Biennale di Venezia, per un progetto di Davide Quadrio, Qui Zhijie e Fiona Biggiero.

Gian Maria Cervo (Napoli 1970) è uno dei drammaturghi italiani più attivi e rappresentati a livello globale. Notato quindici anni fa per il suo stile personale al Festival Sitges Teatre Internacional in Spagna dal collega tedesco Roland Schimmelpfennig, è stato poi nominato da Andreas Beck autore in residenza della Deutsches Schauspielhaus in Hamburg, per la stagione 2001-2002. I suoi testi sono stati rappresentati in alcuni dei maggiori Teatri e Festival d'Europa, in vari prestigiosi teatri russi e sono stati messi in scena da noti registi inglesi e americani. Nel 2013 Cervo è stato il primo autore italiano dopo Goldoni, Pirandello e Dario Fo ad essere messo in scena dalla Shanghai Theatre Academy, la più prestigiosa istituzione teatrale in Cina. Tra le sue opere "Call Me God" scritta a 8 mani con Marius von Mayenburg, Albert Ostermaier e Rafael Spregelburd (Teatro Argentina di Roma, Residenz Theater di Monaco di Baviera, Deutsches Theater di Berlino, Museumsquartier Vienna, Meyerhold Center di Mosca), “L’uomo più crudele” (Piccolo Teatro di Milano, Burgtheater di Vienna, Teatro Eliseo di Roma, poi trasposta in graphic novel dal cartoonist Enrico D’Elia e ripresa dal Teatro Reale di Zetski Dom del Montenegro), “Tra il naso e il cielo” da Pirandello (Teatro del Dramma di Tobolsk, Shanghai Theatre Academy), “Il colore del sole” da Camilleri (Piccolo Teatro di Milano), “Amleto, un’Ofelia di più” (QdA), FREETIME, scritta con i Fratelli Presnyakov (Teatro Stalla Matteo Latino). Nel 1997 ha fondato il Festival di drammaturgia contemporanea "Quartieri dell'Arte", di cui mantiene ancora oggi la direzione artistica.