Tre grandi donne, due guerre mondiali, un sottile fil rouge ad unirle: uno stesso nome, un unico destino. Letizia va alla guerra è un racconto tragicomico, di tenerezza e verità scritto da Agnese Fallongo anche in scena con Tiziano Caputo (che cura arrangiamento e accompagnamento musicale dal vivo), regia di Adriano Evangelisti venerdì 11 marzo ore 21.00 all’Auditorium Leone XIII, nell’ambito della stagione nata dalla collaborazione tra il Comune di Carpineto Romano e ATCL circuito multidisciplinare dello spettacolo da vivo sostenuto da MIC – Ministero della Cultura e Regione Lazio.
Tre donne del popolo, irrimediabilmente travolte dalla guerra nel loro quotidiano, che si ritroveranno a sconvolgere le proprie vite e a compiere, in nome dell’amore, piccoli grandi atti di coraggio. La prima Letizia è una giovane sposa, partita dalla Sicilia per il fronte carnico durante la Prima Guerra Mondiale, nella speranza di ritrovare suo marito Michele. La seconda Letizia, invece, è un’orfanella cresciuta a Littoria (Latina) dalle suore e riconosciuta dalla zia solo dopo aver raggiunto la maggiore età. Giungerà a Roma in concomitanza con l'entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Infine Suor Letizia, un’anziana sorella dalle origini venete e dai modi bruschi che, presi i voti in tarda età, si rivelerà essere il sorprendente trait d’union dei destini di queste donne tanto lontane quanto unite. Un omaggio alle vite preziose di persone “comuni”, che, pur senza esserne protagoniste, hanno fatto la Storia. Impreziosito da musiche e canzoni popolari eseguite dal vivo, prende vita un brillante, triplo "soliloquio dialogato", che, pur nel suo retrogusto amaro, saprà accompagnare lo spettatore in un viaggio ironico e scanzonato. Uno spettacolo delicato che racconta uno spaccato drammatico della storia d'Italia; capace, tuttavia, di alternare momenti di pura comicità ad attimi di commozione, in un susseguirsi di situazioni dal ritmo incalzante in cui spesso una lacrima lascia il posto al sorriso.
Note dell'autrice a cura di Agnese Fallongo
Letizia: un nome proprio ma anche un sentimento, una parola che mi riconnette immediatamente alla mia infanzia. La sentivo spesso quando da bambina, controvoglia, mia nonna mi costringeva ad andare in chiesa con lei il sabato pomeriggio - altrimenti niente gelato! - durante la santa messa. E quante volte l’ho cantata a gran voce poiché presente in moltissimi canti sacri, quando frequentavo i boy scout. E ancora oggi non posso negare il gran fascino che esercita su di me il concetto ed il suono di questa parola: Letizia! Arriva in maniera dolce, come se questo nome racchiudesse in sé, in maniera atavica e ancestrale, un vero e proprio ossimoro: felicita e sofferenza, gioia intima e serena contrapposta ad un dolore pungente. E a tutto questo che collego la scelta istintiva, seppur ponderata, di nominare le tre donne protagoniste del testo “Letizia”, proprio perché accomunate, ognuna per un motivo differente, a quella dinamica femminile del portare letizia nelle vite altrui anche a costo di annientare la propria. Ed eccoci qua: tre donne, uno stesso nome, un unico destino. Una suora, una sposa e una puttana. Tre provenienze regionali differenti: nord, sud e centro Italia (Veneto, Sicilia e Lazio). Tre età differenti: una fanciulla, una donna e un’anziana che, seppur nell’abissale diversità dei loro caratteri e mestieri, sono legate indissolubilmente da un comune denominatore: l’Amore. Anche qui indaghiamo la parola nella sua più profonda e variegata accezione: l’amore carnale di una persona verso un’altra, l’amore viscerale che lega una madre e una figlia, l’amore fra due amiche che si ritrovano a condividere un’esperienza deflagrante come la guerra, fino ad arrivare all’amore ultraterreno verso Dio. Ma ecco che l’urgenza di raccontare si complica quando e un contesto storico, quello che si decide di indagare, a dettare legge nella narrazione; in questo caso il periodo a cavallo tra i due contesti bellici più famosi della storia: la prima e la seconda guerra mondiale. Ricordo ancora quando le studiai al liceo: un’epopea di battaglie, alleanze fittizie, armi, eserciti e numeri e percentuali relative ai decessi di persone senza nome, eppur che hanno fatto la storia. Intendevo dare voce alle persone “comuni”, quelle rimaste nell’ombra e in particolare alle donne che molto hanno amato e troppo hanno taciuto. Un’ode alla donna e alla vita che, come scrivo spesso, ha sempre più fantasia di noi... per chi la sa osservare. Sono partita, infatti, come uso fare quando inizio un nuovo progetto, da un’approfondita documentazione storica (lettere e diari di soldati, lettere delle crocerossine, libri, documentari e film) per poi arrivare alla parte che preferisco: le interviste. Ho iniziato con i reduci di guerra per poi passare alle testimonianze delle mogli, fino ad intervistare una ex prostituta che lavorava nelle note “case chiuse” e diverse suore, nello specifico quelle appartenenti ad ordini che gestivano orfanotrofi per fanciulle abbandonate durante la seconda guerra mondiale. Impressionante il connubio tangibile tra sacro e profano! Ed e stato proprio l’entrare in contatto diretto con realtà all’apparenza così distanti ad ispirarmi invece un possibile legame teatrale tra i due mondi agli antipodi. Romanzando quindi dati reali, hanno preso vita tre donne per le quali nulla e come sembra... e la vita a dettare le regole, altro che libero arbitrio! La forza dei tre personaggi sta proprio nel riuscire a reggere il peso del loro destino senza abbrutirsi, ma anzi rimanendo “liete”, perfino “Letizie”! Per fare ciò l’arma che utilizzano e sempre l’ironia, soprattutto nei momenti più drammatici, perché si può piangere e ridere di tutto, anche della morte. La scelta del dialetto, la lingua del cuore, e legata alla veracità delle protagoniste e alla mia scelta personale di partire sempre dal suono per la costruzione di un personaggio. Un certo modo di parlare delinea immediatamente una postura, un contesto, un certo tipo di estrazione sociale, a volte persino un odore! Viviamo nel paese con il maggior numero di dialetti al mondo ed il poter attingere da questo infinito bacino dal sapore inconfondibilmente nostrano credo costituisca un’enorme ricchezza, spesso sottovalutata. E il recupero della tradizione orale che mi interessa, delle storie, dei racconti, della memoria, di un passato ancora vivo, presente, palpitante. Non saprai mai dove vai se non sai da dove vieni. In questo il connubio con l’ideatore e regista Adriano Evangelisti e con l’attore polistrumentista Tiziano Caputo ha creato una perfetta sinergia, permettendo a “LETIZIA VA ALLA GUERRA la suora, la sposa e la puttana” di diventare carne, viscere e musica. L’apporto che sono riusciti a dare entrambi come artisti uomini in una storia così delicata e così tanto al femminile, e stato toccante: ad avvalorare la mia convinzione che non solo le donne possano parlare di donne e di quanto aprirsi ad una visione maschile, come in questo caso, possa costituire un valore aggiunto. Qui non si tratta di genere, ma di esseri umani; nello specifico dell’esercizio di raccontare storie all’apparenza crude, ma cariche anche di tenerezza, in cui il maschile ed il femminile si sposano perfettamente, fino a potersi invertire nella messa in scena. La parte musicale, arrangiata e suonata dal vivo da Tiziano Caputo, e parte integrante della drammaturgia, una necessita che reputo sostanziale come veicolo atto a sublimare la parola nei momenti più cupi e più brillanti del mio racconto con l’intento di accompagnare lo spettatore, cullandolo, in un intenso spaccato della storia d’Italia.
AGNESE FALLONGO e TIZIANO CAPUTO in
Letizia va alla guerra
La suora, la sposa e la puttana
Auditorium Leone XIII - Carpineto Romano