Ricordo, con mio figlio sulle spalle, in mezzo a grande folla, a Campo dé Fiori, allorché in un freddo pomeriggio di novembre del 1975 Alberto Moravia, a Roma, diede palese sfogo al suo dolore per l’ignominia dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini: “i poeti sono materiale raro, ne affiora uno ogni secolo”: i presenti commossi e addolorati, il grande scrittore in visibile turbamento, ai piedi del monumento di Giordano Bruno. Quale fatale coincidenza: Giordano Bruno e Pier Paolo Pasolini, due autentici e genuini martiri della libertà e del libero pensiero, due miti e umili e dolci creature, messi a morte dalla violenza ed arroganza e fondamentalismo del potere, non uso alla convivenza con la qualità non comune di siffatti personaggi, infastidito anzi mortalmente ostile alle loro parole e attestazioni. Infatti PPP fu vittima non del miserabile giovincello che era con lui bensì come ripetutamente affermato e sostenuto pur se non provato né tantomeno approfondito e indagato, del potere occulto di quel momento storico sulla scena del Paese, potere intriso di viltà e di ipocrisia e, nel complesso, di bieca ignoranza. Anche Giordano Bruno, secoli prima, arso vivo dalle gerarchie perché non aveva voluto rinnegare le proprie idee e pensieri di fronte all’arroganza delittuosa e pochezza morale nonché ferocia del potere clericale imperante.
Non vogliamo ricordare di Pier Paolo Pasolini il suo impegno di poeta o quello di significativo e rivoluzionario cineasta, di artista pittore, di indagatore e protettore dei deboli delle borgate romane, o quello di giornalista e divulgatore e nemmeno della sua figura di poeta e di grande scrittore o della sua professione di fede per Marx e per Cristo: il suo contributo impagabile va individuato e messo in evidenza nell’impegno civile costante a favore della società dei deboli. I grandi nemici invisibili e perciò ancora più micidiali, sono il capitalismo e la globalizzazione che non tenuti sotto intelligente e severo controllo dal potere politico, hanno devastato e stanno continuando a devastare la società dovunque nel mondo, rendendo l’uomo schiavo, solo un consumatore di beni quasi tutti inutili, preda e succube completo del mercato e in generale, ecco la disgrazia, non dispone di antidoti e di difese culturali e morali atti a tutelarlo e perciò progressivamente subisce le conseguenze che il capitalismo mondiale persegue e ambisce: precarietà, paghe basse, delocalizzazioni, cementificazione selvaggia e criminale del Paese, la corruzione generalizzata, privilegi inauditi di certe categorie, la proletarizzazione della comunità, al fine di ingrassare le proprie attività e accrescere i profitti. Ed è in tale specifico contesto di autentico pur se non consapevole vero e proprio ‘genocidio’ dell’uomo da parte del sistema capitalistico e finanziario che Pier Paolo Pasolini spiattella e appalesa i soli veri colpevoli imperdonabili del disastro sociale cui si è pervenuti essendo venuti meno o non effettivi, i rimedi e le difese che al contrario sarebbero stati obbligati istituzionalmente a fornire la scuola prima di tutti e la televisione e poi la classe politica specificatamente democristiana, “il nulla ideologico mafioso”, detentrice da sempre del potere e, non per ultima, la più ‘pericolosa’ e micidiale di tutti, la giustizia/ingiustizia che condanna i deboli e protegge i potenti. Nessuno prima di lui e dopo di lui ha avuto il coraggio civile e la libertà assoluta di coscienza, sulla propria pelle e a proprie spese, di evidenziare senza mezzi termini lo stato dei fatti dell’Italia, mettendone in luce ripetutamente i tanti mali: tale suo impegno solitario è stato possibile portarlo alla conoscenza del pubblico italiano grazie alla sensibilità e disponibilità di alcuni giornali, specie il Corriere della Sera dell’epoca e il Mondo. E’ vero, altri sensibili scrittori e giornalisti non hanno fatto mancare le loro denunce, come Antonio Cederna in particolare con riferimento agli abusi edilizi, ma nessuno con la forza e la costanza e soprattutto la profondità e la chiarezza storica di Pier Paolo Pasolini. Il concetto chiarificatore come nessun altro, atto a descrivere il consumismo e i suoi effetti deleteri, si chiama “omologazione antropologica”, espressione scientifica da lui coniata, non consente di aggiungere niente altro al già espresso concetto di “genocidio” della gente: la società si è uniformata al basso, si è ‘borghesizzata’ perché anche la borghesia ha perso il suo spazio tradizionale: ora bassi e alti si incontrano, sono ‘omologhi’!
La scuola diventa produttiva di realtà sociale generalizzata e costruttiva, se guarda in faccia gli scolari seduti sui banchi e ne interpreta uno per uno, i sogni e le necessità vere e non solo e esclusivamente ‘t’amo pio bove’. La televisione come strutturata, vuota, formale, tutta apparenza, parolaia, retorica e patetica, falsa, è solo veleno continuo per la comunità, perciò va eliminata, finché non si rigenera.
L’analisi della società italiana è stata portata avanti col massimo approfondimento e coraggio e in merito ricordo in particolare, per gli interessati, due libri che contengono i suoi famosi editoriali “Lettere luterane” e “Scritti corsari”: sono questi interventi giornalistici che qui hanno la preponderanza, ma peso concettuale e insegnamenti di gran lunga superiori sono da rinvenire nei suoi romanzi, nei suoi films, e ancora di più nei suoi libri di poesie.
Quanto in particolare, a mio avviso, urtò e anche spaventò la classse politica e il potere furono gli ultimi suoi interventi sulla stampa allorché iniziò a proporre anzi a propugnare che il ‘palazzo’ -altra sua espressione per indicare il potere- venisse messo sotto pubblico processo, che un ‘processo’ agli uomini politici dell’epoca, citati per nomi, venisse celebrato davanti agli italiani. Qui ci arrestiamo, nella commemorazione.
Michele Santulli