Attività, Il colossale saccheggio. Prima parte



Una piccola sequenza di annotazioni sul grande saccheggio di opere d’arte italiane di Michele Santulli

Un volume non sarebbe sufficiente non ad elencare ma solamente a citare gli episodi e le cronache che costituiscono il grande saccheggio di opere d’arte: la visita ad un qualsiasi museo transalpino ad un certo momento porta a chiedersi: quante opere italiane! Come possibile? Dove sono i controlli?

La vera e propria depredazione e spoliazione dei beni artistici italiani, principalmente e soprattutto degli archeologici, è una realtà che non si immagina nelle sue cifre e nei suoi traffici: qualche milione di pezzi, senza tema di esagerare, miliardi di valore! Pochi anni addietro in Svizzera, noto centro di smistamento di arte antica italiana, furono scoperti alcuni operatori che disponevano di decine di depositi colmi di oggetti di scavo italiani importati clandestinamente!

A fondamento e alla base di tale commercio artistico, a parte il profitto, vi è il gusto estetico, il godimento del compratore a possedere certi oggetti per suo piacere, la molla autentica essendo sempre il proprio appagamento: le altre motivazioni che pur si contano, quali speculazione, investimento e analoghi o anche la provenienza, sono marginali rispetto all’amore per l’arte. Altra spinta all’interesse sempre vivo è la continua ricerca di oggetti particolari da parte di musei e gallerie.

Il furto delle opere d’arte è una piaga in tutte le antiche civiltà: in Egitto, in Cina, in India, nel Vicino Oriente, in Grecia…in Italia certamente molto più che altrove a seguito della sua ricchezza e soprattutto del lungo periodo di circa duemilacinquecento anni e a seguito della varietà e tipicità degli oggetti: in effetti nessuna civiltà evidenzia tale ricchezza e tale varietà: l’Italia, malgrado tale terribile situazione, è ancora tutto un museo, a cielo aperto e sottoterra, una ricchezza smisurata ed eccezionale, anche di enorme valore commerciale, in molta parte già dilapidata, alla presenza di scarsa, quasi irrilevante, attenzione da parte delle istituzioni e quindi valorizzazione e cura: incredibile che possa sembrare, non si legge mai, per esempio, la notizia che qualcuno di quei tombaroli o trafficanti o ladri, presi sul fatto, sia andato in prigione!

E quindi avviene che visitando le gallerie e i musei del pianeta ci si rende conto che in gran parte di essi la presenza di opere italiane è quasi sempre predominante: quadri antichi, sculture medievali e rinascimentali, archeologia, oggetti etruschi, oggetti di arredamento e tanto altro….Senza citare le collezioni private, ancora più numerose.

E per tornare ai secoli passati a parte gli oggetti acquistati dai collezionisti reali stessi come Francesco I di Francia, Carlo I e Carlo II di Inghilterra, Caterina di Russia e da tanti altri privati amatori…in verità parallelamente ha avuto luogo una autentica spoliazione, fuori di qualsivoglia controllo: i più avidi compratori furono gli Inglesi, nel 1700 i padroni del pianeta, ai quali fondamentalmente interessava l’oggetto e non la provenienza o altro. Entrando per esempio nel British Museum di Londra, attivo già dal 1753, si riesce ad avere una idea della immensa ricchezza accumulata e di quella italiana in special modo: migliaia di pezzi! In occasione del famoso Grand Tour cioè del movimento turistico e culturale che contrassegnò l’Europa nel corso del 1700 del quale la meta privilegiata e ricercata era l’Italia, basti pensare che a quest’epoca a Roma i ricchi turisti inglesi rinvennero una vera e propria organizzazione commerciale ntesa a reperire e a commercializzare opere d’arte soprattutto archeologiche. Si immagini la situazione logistica di quei tempi eppure, per esempio, questi operatori riuscirono ad ottenere, a favore del loro commercio, che il corriere postale a dorso di cavallo impiegasse solamente dodici giorni per arrivare a Londra da Roma, a quell’epoca un grande successo, considerata la distanza di circa 1800 Km. I referenti romani erano due artisti e allo stesso tempo commercianti, i quali curavano direttamente gli scavi archeologici e poi le opere più significative, anche grandi sculture in marmo, le spedivano ai clienti inglesi. Migliaia e migliaia, come detto, le opere fatte uscire dal solo Stato della Chiesa nel corso del 1700 e negli anni gli aristocratici inglesi riempirono le loro sfarzose magioni di opere d’arte italiane. Un altro importante artista-mercante che pure in quegli anni favorì questo ricco commercio estero fu Giovani Battista Piranesi. Naturalmente i compratori erano anche in altre città europee ma la massima parte era anglosassone. A Firenze, città particolarmente amata dagli Inglesi, erano presenti anche qui mediatori e mercanti specializzati alle opere pittoriche e scultoree dei grandi maestri fiorentini e all’arredamento. Un altro referente era presente a Venezia, un diplomatico, che fece incetta della quasi totale produzione delle opere del Canaletto (1697-1768) e di decine e decine di opere degli artisti veneti. Anche a Napoli era presente un diplomatico inglese, William Hamilton (1730-1803), cultore d’arte e studioso, autore di alcune pubblicazioni che hanno fatto epoca. In quegli anni Pompei cominciava a venir dissepolta e naturalmente sensibile l’interesse di Lord Hamilton che mise assieme una notevole collezione di vasi etruschi e greci scavati a Pompei, centinaia, che ebbe cura in parte di descrivere e pubblicare e poi rivendere tutti al British Museum e ad altri privati collezionisti in Inghilterra.

Continueremo in prosieguo con altri due interventi sul colossale saccheggio, a informazione per alcuni e a aspro rimbrotto per i responsabili impuniti.

Michele Santulli

In allegato la immagine del British Museum di Londra.