Amleto Cataldi, lo scultore di Roma, comincia ad uscire fuori dal nebbione in cui era rimasto emarginato a causa dei cinque anni della sua vita trascorsi in regime mussoliniano. Furono i cinque anni in cui videro la luce opere d’arte che oggi più che allora rendono omaggio al creatore e allo stesso tempo gratificazione e piacere all’osservatore: che siano nate in regime fascista nulla toglie o aggiunge, è come voler esprimere parere negativo sulle Stanze di Raffaello o la Cappella Sistina perché trovansi in Vaticano e non in Italia o viceversa! E tale vera e propria ‘scellerata demonizzazione del fascismo…” “tale disconoscimento dei valori…” -stiamo ripetendo le parole di Vittorio Sgarbi- ha dato come esito che, stoltamente, si è buttato giù il sacco col gatto dentro, cioè l’artista e le sue opere, mischiando arte e politica. In questi ultimi anni, in concomitanza anche con l’apparizione per la prima volta delle sue opere sul mercato internazionale -e con successo!- si sta assistendo a una sensibile riappropriazione critica e letteraria e, altrettanto stimolante, a un fervido interesse collezionistico da parte di un agguerrito manipolo di compratori e ricercatori che hanno avuto, in una signora di loro, già il merito di aver intercettato tutta una collezione significativa di disegni originali del Maestro dei quali si era persa la traccia. A ciò si aggiunga che negli anni trascorsi, la Romana Soprintendenza ha provveduto al restauro e recupero dei quattro gruppi giganteschi di atleti al Villaggio Olimpico, al restauro del possente ‘Monumento ai Finanzieri’ di Viale XXI Aprile, al restauro di quel capolavoro di ‘Fontana della Ciociara’ davanti alla Casina Valadier e a tali decisive iniziative, sempre alla luce della graduale rinascita di cui stiamo parlando, vanno aggiunte anche almeno due esposizioni del massimo valore e cioè la mostra sul Liberty di Rovigo del 2009 e quella di New York della Guggenheim che entrambe presentano la splendida ‘Galatea’ della Gall. Comunale di Roma, realizzata nel 1926-27 in piena collaborazione fascista. A tali episodi di vera e propria palingenesi, si aggiunga anche la prestigiosa risoluzione del Comune di Roma Capitale di dedicare al nome dell’artista il luogo più pittoresco e prestigioso della città e cioè lo spazio antistante la Casina Valadier sul Pincio, dove si leva la suggestiva ‘Fontana della Ciociara’: Largo Amleto Cataldi.
Tornando all’epoca mussoliniana, la vicinanza di Cataldi alle massime autorità, il Re e il Duce, era una consuetudine e riprova della stima di cui era fatto segno. Già nel 1920 il Re Vitt.Em.III era presente alla inaugurazione del monumento agli operai caduti in guerra di Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo, monumento che per qualità non comune fa da contraltare al noto Quarto Stato di Pellizza; l’anno dopo 1921 assieme alle più alte cariche politiche ed accademiche inaugura negli spazi della Università la Sapienza, il Monumento agli studenti Caduti in guerra; a novembre 1928 inaugura il monumento ai ‘Caduti di Foggia’, forse l’opera pubblica ai caduti in guerra più importante del Paese; nel dicembre 1930 il Re inaugura a Roma il Monumento alla ‘Guardia di Finanza’, notevole per proporzioni e somma qualità. Il Sovrano presenziava anche alle iniziative in cui Amleto Cataldi non era più solo protagonista, quale la Esp. Int. di Parigi del 1925 ove l’artista esponeva quattro sculture in bronzo, nel 1928 assisteva al varo del transatlantico ‘Conte Grande’ dove l’artista esibiva due sculture in bronzo di donne nel salone di rappresentanza, nel 1929 presenziava alla inaugurazione della ‘Fiera di Tripoli’ dove Cataldi era presente con una imponente scultura in bronzo della ‘Dea Roma’ sulla sommità, ancora nel 1929 inaugurava la ‘Esposizione delle automobili’ a Roma dove Cataldi esponeva una maestosa ‘Donna in corsa’ sulla punta del Palazzo. Altra occasione di presenza regale erano le esposizioni dì arte un pò dovunque nel paese e qui notiamo che l’interesse del Re per l’artista era sempre vivace: spesso acquistava sue opere che destinava a varie pubbliche istituzioni, più raramente per la propria collezione: qui illustriamo ‘La figlia del lavoro’ acquistata in una mostra romana del 1916, stimolato e ispirato non tanto e non solo dalla critica entusiasta quanto dal soggetto particolare e dalla fattura irripetibile, la sola opera del Cataldi della sua collezione, dissolta con la fine della Monarchia. Protetta e isolata nella regale collezione, l’opera è rimasta quasi sconosciuta fino a quando pochi anni fa riapparve sul mercato dopo la dissoluzione della raccolta medesima.
di Michele Santulli